LIMITI, COMPROMESSI E STEREOTIPI DELL'ESSERE ATLETE DURANTE IL CICLO MESTRUALE

Per la prima volta nella storia, le Olimpiadi di Parigi vedono un’equa rappresentazione di genere: dopo aver superato il record a Tokyo 2020 con il 48% di donne, alle Olimpiadi 2024 infatti partecipano il 50% di atlete e il 50% di atleti. Un successo che il Comitato Olimpico Internazionale celebra come importantissimo, anche attraverso l’hashtag #GenderEqualOlympics, ma che in realtà rappresenta soltanto una parte di un quadro complesso quale è la parità tra individui. Perché se i numeri parlano di equità, le opportunità invece continuano a essere impari: per molte persone infatti lo sport è ancora un mondo fatto di limiti, stereotipi e compromessi e non tutti i corpi vengono accolti e celebrati con la stessa dignità. Oltre al dibattito denigratorio ed escludente contro le atlete transgender, anche per chi ha il ciclo mestruale competere può voler dire dover imparare a gestire energie, dolori, ma anche e soprattutto tabù.

In seguito a un crampo che l’ha costretta a rallentare durante la finale dei 100 metri agli Europei di Monaco 2022, la velocista Dina Asher-Smith ha spiegato che il problema muscolare era dovuto alle mestruazioni: "È un argomento enorme per le donne nello sport", ha detto, chiedendo che venga fatta più ricerca su come il ciclo incida sulle prestazioni sportive. La campionessa britannica non è stata l’unica a trattare l’argomento. Anche la tennista Zheng Qinwen ha parlato di un problema alla gamba e crampi addominali che l’hanno costretta ad allontanarsi dal campo in una partita dei French Open 2022 e che hanno poi contribuito alla sconfitta. Serena Williams spiegò di soffrire di emicrania mentre la tennista tedesca Eva Lys ha scritto di recente sui social che non si parla mai abbastanza del fatto che le atlete spesso competono e devono dare il massimo mentre hanno le mestruazioni: "A volte non è facile", ha detto. Alcune di queste storie sono raccontate da Tiziana Scalabrin nel suo saggio Sangue, contenuto in Fondamentali. Storie di atlete che hanno cambiato il gioco, un’antologia che racconta le imprese, le lotte e gli ostacoli delle sportive dentro e fuori le competizioni. Scalabrin spiega che “nello sport non si parla mai di mestruazioni, non si parla mai di cosa può voler dire praticare sport quando sei una persona che sanguina”, soprattutto a causa dello stigma che ancora resiste sul ciclo mestruale non solo in ambito sportivo ma nella società in generale. Utilizzato a lungo come giustificazione per tenere fuori le donne dalla vita pubblica, l’istruzione e i ruoli di potere e decisionali, il ciclo mestruale è stato - ed è ancora - infatti considerato ciò che rende la donna volubile, inaffidabile, troppo emotiva, in altre parole inadatta e dunque inferiore.

Lo stesso discorso vale nello sport: per molto tempo è stato sconsigliato alle donne di praticare attività fisica e sportiva, in particolare durante le mestruazioni, perché si diceva che questo avrebbe potuto compromettere la loro fertilità. Si tratta però di una credenza senza alcuna base scientifica e che aveva lo scopo di ridurre il ruolo delle donne alla riproduzione ed escluderle da ogni aspetto della vita sociale, sport compreso. Parlare di mestruazioni per le atlete è quindi diventato un tabù: manifestare dolore, lamentare difficoltà ed esprimere determinati bisogni legati al ciclo mestruale poteva e può infatti essere visto come un segno di debolezza, di inadeguatezza a un mondo che già per le donne è piuttosto complicato da navigare, tra stereotipi di genere, abusi, mancanza di riconoscimento professionale e disparità salariale. Ma omettere dal discorso dello sport il ruolo del ciclo mestruale vuol dire limitare la voce, le esigenze e anche il potenziale di chi poi lo deve gestire.

Del rapporto tra ciclo e sport sappiamo ancora poco. La sua forte variabilità - di persona in persona, tra fasi della vita, ma anche di mese in mese - lo rende sicuramente molto complicato da analizzare e studiare in maniera sistematica, ma è anche vero che, come tutto ciò che riguarda la salute delle donne, anche in questo caso specifico l’interesse è sempre stato piuttosto ridotto. Le ricerche al riguardo sono limitate, tanto dal punto di vista numerico quanto di indagine: solitamente infatti in questo ambito gli studi vedono la partecipazione soprattutto di persone che praticano sport a livello amatoriale, i cui dati vengono raccolti e analizzati e i risultati applicati alle sportive professioniste. Già qui dunque viene fuori un primo limite: gli allenamenti e lo stile di vita di una persona che pratica sport d’élite sono infatti molto diversi da chi invece lo fa per hobby. Un altro limite è quello che riguarda il focus che spesso viene dato a questo tipo di ricerche: molte infatti si concentrano soprattutto sui disturbi legati al ciclo mestruale e sul perché alcune sportive non hanno le mestruazioni o hanno un ciclo irregolare. Senza dubbio, si tratta di un aspetto fondamentale e che fa emergere delle storture nel mondo sportivo: l’assenza delle mestruazioni infatti è stata a lungo considerata normale per chi pratica sport e in alcuni ambienti è addirittura riconosciuta come un segnale positivo del duro lavoro, ma è in realtà spesso la conseguenza di allenamenti eccessivi e sottonutrizione che possono mettere in pericolo il benessere psicofisico della persona e aumentare il rischio di infortuni. Dall’altro lato invece ancora pochissimi studi vengono dedicati all’aspetto opposto, e cioè non a come lo sport influenzi il ciclo ma il suo contrario.

Le informazioni che oggi abbiamo a questo proposito sono infatti poche e spesso contrastanti. Alcuni studi sostengono che le fluttuazioni ormonali potrebbero essere una delle ragioni che rendono la lesione e la rottura del legamento crociato anteriore tra gli infortuni più comuni tra le atlete: un dato su cui però molti esperti non sono d’accordo. Secondo una ricerca recente, inoltre, il rischio di infortuni muscolari aumenterebbe nei giorni che precedono le mestruazioni, ma l’indagine è stata svolta su un numero ridotto di professioniste. Molte ricerche poi si contraddicono tra loro e non tutte possono considerarsi affidabili. Per certo sappiamo quello che riferiscono direttamente le atlete. Alcune calciatrici professioniste, ad esempio, hanno dichiarato che la fase premestruale e quella mestruale incidono su forza, stanchezza e capacità di recupero. Varie sportive hanno parlato di livelli di dolore anche molto alti, emicranie e cali di forma. In generale gonfiori, tensioni al seno, difficoltà a concentrarsi, stanchezza, problemi muscolari possono costringere a saltare gli allenamenti e inficiano anche le prestazioni. Per gestire sintomi e comparsa delle mestruazioni, alcune scelgono di assumere la pillola anticoncezionale, non sempre però senza conseguenze: come tutti i medicinali, infatti, anche la pillola può avere degli effetti collaterali che variano di persona in persona.

Un aspetto da non sottovalutare quando si parla di rapporto tra ciclo mestruale e sport, inoltre, è che questo non riguarda soltanto le competizioni e gli allenamenti delle atlete professioniste. Come ha scritto Tiziana Scalabrin, infatti, “guardare allo sport d’élite consegna un’immagine falsata della questione”, perché se si è arrivate a quel livello vuol dire che si è trovato il modo di gestire i disturbi più complessi. Il problema piuttosto sta a monte. Le ragazze, molto più che i ragazzi, lasciano lo sport entro i 14 anni: tra le ragioni c’è la carenza di strutture e opportunità per le giovani sportive, i pregiudizi sullo sport femminile e il timore di essere giudicate, ma anche il ciclo mestruale e la comparsa delle mestruazioni: “Nessuna dice mai che questo abbandono sia dovuto al ciclo”, spiega Scalabrin, ma quella “è l’età del menarca: che insegna, come prima cosa, che il disagio va nascosto prima che superato”. Le condizioni in cui si muove lo sport femminile infatti acuiscono lo stress e il disagio che tante ragazze provano soprattutto alle prime mestruazioni. Molte strutture in cui si svolgono gli allenamenti e le competizioni ad esempio non hanno bagni, carta igienica e cestini che rendono più facile la gestione delle mestruazioni; il tabù sul ciclo può far sentire in imbarazzo le ragazze nel parlare con i loro allenatori, molto spesso uomini che non conoscono né vogliono occuparsi dell’argomento; e la visione del ciclo mestruale come qualcosa di negativo e da nascondere può indurre a pensare che sia meglio abbandonare del tutto. Ricordando le difficoltà incontrate soprattutto agli inizi della sua carriera, come quando dovette mettere un assorbente interno in uno sgabuzzino con anche il timore che entrasse qualcuno, la giocatrice di rugby gallese Elinor Snowsill ha spiegato che i sintomi di cui molte persone fanno esperienza durante la fase premestruale e mestruale possono già incidere sulla partecipazione delle donne nello sport: “Non abbiamo bisogno di ulteriori ostacoli, come l’assenza di strutture e servizi”, ha affermato. Persino ai massimi livelli le atlete hanno dovuto lottare affinché le loro esigenze venissero ascoltate: è solo dal 2023 ad esempio che Wimbledon ha introdotto un’eccezione alla sua rigida regola sull’abbigliamento total white e ammesso che le tenniste possano indossare pantaloncini scuri e sentirsi dunque più a loro agio nei giorni delle mestruazioni. Sempre nel 2023, le squadre di calcio inglese e neozelandese in occasione dei Mondiali hanno sostituito i loro classici pantaloncini bianchi con colori scuri, mentre l’Australia ha introdotto un kit con speciali protezioni contro le perdite.

Non solo ridurre o eliminare le fonti di disagio, ma anche rivedere la narrazione del ciclo in sé è importante. Innanzitutto, non possiamo pensare che le mestruazioni abbiano sempre un effetto negativo: non tutte le persone infatti fanno esperienza degli stessi sintomi e con la stessa intensità e diversi studi hanno anche dimostrato che le performance di molte sportive non risentono in maniera significativa delle fluttuazioni ormonali nelle varie fasi del ciclo. Inoltre, non possiamo neppure trascurare il contesto sociale: le discriminazioni e disparità di genere, razziali o basate sull’orientamento sessuale ad esempio hanno una forte influenza sulla salute e il benessere delle persone. Infine, il ciclo mestruale non coincide solo con i giorni delle mestruazioni e soprattutto non è solo dolore: parlarne soltanto in termini negativi e di difficoltà porta con sé il rischio di una narrazione stereotipata delle mestruazioni e dei corpi che mestruano. Il ciclo mestruale infatti è un processo fisiologico, non una malattia: per questa ragione è importante anche iniziare a capire e studiare meglio come renderlo uno strumento per conoscersi e migliorarsi, non un problema con cui fare i conti. Quello che ad esempio spesso si sottovaluta è ciò che succede al corpo nelle varie fasi del ciclo: se durante le mestruazioni molte sportive sentono maggiore stanchezza, nella fase follicolare e ovulatoria (e cioè dal termine delle mestruazioni all’ovulazione) la forza e capacità di resistenza aumentano. Negli ultimi tempi, studiare questi aspetti ha contribuito allo sviluppo di app e sistemi di tracciamento che molti club, settori e atlete professioniste hanno iniziato a utilizzare per aumentare il livello delle performance. Le calciatrici della Nazionale di calcio degli Stati Uniti ad esempio hanno monitorato il loro ciclo mestruale per migliorare le prestazioni ai Mondiali 2019, mentre nel 2020 l’allenatrice del Chelsea dichiarò di aver iniziato a usare un’app per strutturare piani alimentari e di allenamento individuali. Anche in Italia è stato lanciato un progetto simile, che coinvolge l’ASD Real Meda Calcio Femminile e prevede la personalizzazione degli allenamenti nelle varie fasi del ciclo mestruale.

“Per ottimizzare la salute delle giovani atlete”, ha scritto Scalabrin, “dobbiamo insegnare loro come allenarsi pensando al proprio corpo; cioè allenarsi come persone che sanguinano, e non come uomini”. E per fare ciò è necessario cambiare il modo in cui pensiamo al ciclo e alle mestruazioni: non più come un limite, qualcosa a cui porre riparo, dunque, ma piuttosto un’opportunità. “Le mestruazioni sono un percorso”, spiega l’autrice di Sangue, e “costringono a costruire un rapporto con il proprio corpo, fatto di conoscenza reciproca, di adattamento, di pazienza, di cura per se stessi, di relazioni, di tempo, di cambiamenti. E di riconciliazione”.

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