A marzo 2024 la content creator Francesca (@laz3cca) pubblicava su TikTok il video di un suo sfogo, in seguito al violento bodyshaming e alle aggressioni grassofobiche subite in una palestra di Napoli. In lacrime, raccontava della sua esperienza durante l'allenamento: mentre stava correndo su un tapis roulant, alcuni ragazzi avevano hanno iniziato a guardarla, a imitarla e schernirla: «Mi hanno detto tutta la vita: vai in palestra cicciona. Poi ci vado e mi prendono in giro». È quello che Marianna The Influenza, divulgatrice antirazzista e autrice, chiama il paradosso della grassofobia: «La palestra è tra i primi rimedi curativi consigliati alle persone grasse per eliminare la loro grassezza – ci racconta quando le chiediamo di spiegarci nel dettaglio cosa può succedere, in un luogo del movimento standard, a una persona con un corpo non conforme –, ma una volta dentro, diventa sempre più chiaro che non è un luogo sicuro per le persone grasse».
All'interno di una società patriarcale e capitalista, anche lo sport diventa terreno di esclusione: «Le aggressioni, le micro-aggressioni e la violenza verbale e fisica verso le persone grasse è sempre più su base quotidiana. Nei luoghi dello sport, gli unici obiettivi da perseguire sono il dimagrimento e il mantenimento. Per una persona grassa non possono essere previsti percorsi di movimento per il semplice gusto di farlo. Le persone grasse vengono buttate in questi luoghi sociali che professano inclusività nei loro statuti, ma si rivelano essere un covo di persone grassofobiche: dai membri dello staff con le loro battute e micro-aggressioni sul peso, alle persone che frequentano questi spazi con i loro consigli di alimentazione. Come successo a Francesca, queste si sentono legittimati a deridere un corpo mentre pratica attività fisica, perché è stato loro insegnato così al di fuori, e poiché non incombono in conseguenze all’interno della palestra. Quante volte abbiamo letto di persone allontanate dalla palestra per i loro comportamenti grassofobici?», aggiunge Marianna The Influenza.
La stessa, che lotta ogni giorno, sui social e no, contro la grassofobia, è partita proprio dalla storia di @laz3cca per creare una rete di posti sicuri per tutti. È così che nasce il database per fare movimento non grassofobico: un file unico che ha l'intento di raccogliere e rendere consultabile i nomi di luoghi, realtà o personal trainer in o con cui potersi muovere, senza essere giudicati per il proprio aspetto, il proprio peso e altre caratteristiche della propria identità. «Dopo l'episodio che ha vissuto Francesca, volevo che la rabbia si trasformasse in altro. Ho voluto renderla una nuova opportunità per tutte le persone grasse, e non, che volessero (ri)trovare l’amore per il movimento senza avere paura delle pressioni grassofobiche e giudicanti».
Per sapere dove fare movimento non grassofobico, capire meglio cos'è il database e dove consultarle, comprendere qualcosa in più di questo strumento importantissimo (a chi è indirizzato e perché), o in generale, di cosa voglia dire lottare contro la grassofobia, abbiamo continuato a parlare con Marianna The Influenza.
Che cos'è nella pratica il database? A chi è rivolto? Dove lo posso consultare?
«Si tratta di un documento collettivo: il riempimento è possibile grazie alle segnalazioni e alle testimonianze che arrivano da chi mi segue sui social; io provvedo solamente alle verifiche dei nomi che mi arrivano, al riempimento e alla compilazione. Inizialmente pensato e rivolto soltanto a persone grasse, ho capito fin da subito che bisognava estenderlo a tutte le persone che provano disagio nel fare attività fisica in un luogo giudicante e attento solo alla performance di chi lo frequenta. Sono consapevole che le persone grasse sono quelle che sperimentano maggiormente la discriminazione grassofobica, ma è anche vero che questa società ci mette in competizione su qualsiasi piano e vuole sempre di più da noi, anche quando siamo vicini alla "perfezione" che promuovono. Capita molto spesso, infatti, di sentire pronunciare la parola grasso/a tra persone con corpi che fisicamente rientrano nello standard dominante. Come capita di vedere adolescenti, qualsiasi sia il genere e la fisicità, che sono già in competizione tra loro anche per il fisico. Il corpo è motivo di disagio in qualsiasi individuo, anche quando non ce ne sarebbe bisogno, proprio perché la società monetizza sulle nostre insicurezze. Per questo ha bisogno che a sentirsi sbagliate siano anche le persone magre. Il database è consultabile a questo link».
Ci hai raccontato cosa può succedere in una palestra standard alle persone con corpo grasso. E agli altri tipi di corpi non conformi?
«Le difficoltà possono essere diverse, non solo la grassezza. Intanto, perché esistono diversi stigmi sociali che rendono un corpo non conforme; bisogna considerare che ogni unicità di una persona potrebbe provocare una o più discriminazione in un luogo. Parlare di tutte le casistiche in un solo articolo sarebbe impossibile, ma potremmo fare alcuni esempi. Nel caso di persone razzializzate, le difficoltà potrebbero essere riconducibili ai pregiudizi legati alle prestazioni sportive e alle espressioni razziste che si utilizzano nel parlato di tutti i giorni. Nel caso di persone che non si riconoscono nei generi maschile e femminile, e non hanno una manifestazione di genere conforme alle aspettative, potrebbero esserci le micro-aggressioni legate all’aspetto e all’ impossibilità di poter usufruire dei servizi delle palestre come bagni, docce, ancora fortemente binari. Nel caso di persone disabili le difficoltà possono essere molteplici e differenti in base al tipo di disabilità e, se si considera che una persona può avere anche più di una disabilità, il quadro diventa estremamente complesso. Ora, immaginiamo, ad esempio, le difficoltà che una persona non binaria nera, grassa e disabile potrebbe incontrare in un luogo come la palestra: è potenzialmente discriminabile sotto diversi aspetti della propria identità e queste discriminazioni possono avvenire tutte insieme o in forma separata».
Che consigli daresti alle persone con corpi conformi per rendere le palestre degli ambienti più sicuri per tutti gli altri?
«Di riconoscere il privilegio sociale di cui godono legato alla loro magrezza, privilegio che ricordiamo non dipende da loro, ma che è deciso a priori da chi ha influenza e potere per facilitare la conservazione dello status quo dominante. Di mettersi dalla parte di chi subisce discriminazioni per le proprie unicità e di segnalare situazioni grassofobiche quando accadono. E di educarsi perché le informazioni sbagliate o poco affidabili che vengono utilizzate per discriminare persone grasse e per creare un terrore grassofobico sono state insegnate anche a loro, vengono utilizzate anche da loro per discriminare o ignorare le discriminazioni altrui e sono utilizzate anche per spingerli a performare per non essere discriminate».
Ci parli più in generale della tua lotta alla grassofobia?
«Come dico spesso nella mia bio di presentazione, ho iniziato a creare contenuti al "gusto" di grassofobia dal momento in cui ho capito che la società avesse un problema con il peso del mio corpo. Mi sento di aggiungere che ho iniziato a lottare contro questo fenomeno di discriminazione sociale dopo aver capito anche tutti i sacrifici che mi ha portato a fare per appartenere anche sotto questo aspetto. Dico anche, perché nella mia vita avevo già sacrificato tanto della mia identità congolese per poter essere definita una italiana vera. Sono lotte, quella contro la grassofobia e quella antirazzista, che qualche volta prendono due strade distinte e altre volte si incontrano, visto che sono parte della mia identità. Non so dire quando ho iniziato perché è stata, la lotta alla grassofobia, un’aggiunta che ho fatto in maniera molto spontanea e naturale al mio percorso. Sentivo che c’era il bisogno di parlarne. Ma so che ad oggi è sia una gioia che una condanna. Una gioia perché mi sono liberata da alcune catene che mi hanno da sempre impedito di esprimere il mio vero essere. Una condanna perché vedere quello che le altre persone ancora non vedono, siano queste le tue amicizie, i tuoi familiari, le persone sconosciute è doloroso. Capire perché certi messaggi sono costruiti in un certo modo e vedere come le persone che non hanno gli strumenti che ho io abboccano ai messaggi ti fa stare fisicamente e mentalmente male».
Hai scritto anche un libro a riguardo. Ce lo racconti in breve?
«Partendo dalla mia esperienza di donna, grassa e nera, ho cercato di analizzare le singole sfere, con un focus più approfondito sulle ultime due, per offrire una visione inedita in Italia di che cosa succede se invece se si analizzano gli esiti di quando queste tre si scontrano ed intersecano su diversi piani della vita di una persona, tra cui quella sociale. A fare da cornice a questa analisi intima e introspettiva della mia vita, ci sono diverse conversazioni su fenomeni sociali che si legano alla mia esperienza e sul ruolo che chi detiene il potere ha nel creare e foraggiare le discriminazioni che colpiscono il mio corpo e quello di persone che condividono uno o più stigmi con me».
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