LO PSICOLOGO DI FAMIGLIA ESISTE DAL 2019. ORA METTIAMOLO A SISTEMA

Era il 2019 quando governo e Parlamento, con un voto bipartisan, introdussero in una legge quadro del SSN, il D.Lgs. 502/92, l’indicazione che i medici di famiglia possono aumentare il numero degli assistiti nell’ambito di modelli organizzativi nei quali è prevista la presenza anche di personale infermieristico e dello psicologo” (art.8).

La modifica introdotta nel 2019 non nasce dal nulla ma da un percorso che è, insieme, scientifico, culturale e sociale e vede al suo centro il progressivo emergere di evidenze, dati e consapevolezze sul ruolo della dimensione psicologica rispetto alla salute. Oggi sappiamo che il rapporto tra processi psichici, cervello e organismo è bidirezionale; i nostri pensieri, vissuti, emozioni, atteggiamenti lasciano profonde tracce nell’organismo e sono la leva principale che sposta gli equilibri verso la salute o verso la malattia.

Queste evidenze avevano trovato riscontro nel Piano Nazionale delle malattie croniche (PNC) approvato nel 2017 che ha affermato che nella cura e nell’assistenza bisogna avere come riferimento la persona e non la malattia in sé come qualcosa di avulso da chi la vive e ne è di fatto il principale gestore. E il PNC chiama in causa gli psicologi come parte necessaria per raggiungere questo obiettivo di sistema. Non è cosa da poco visto che i minori e gli adulti con problemi cronici (malattie oncologiche, cardiovascolari, neurologiche, reumatiche, intestinali, renali, respiratorie, endocrine) in Italia sono decine di milioni e il SSN spende il 75% del suo budget per queste tematiche, che sono in costante aumento. Essere più efficaci non solo nelle tecnologie ma nelle relazioni, nella capacità di considerare la persona e potenziare le sue risorse soggettive e psico-comportamentali, diviene elemento cruciale per l’efficienza e la sostenibilità del sistema.

Nello stesso anno vedevano finalmente la luce i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA 2017), l’elenco delle prestazioni che il SSN si impegna a garantire ai cittadini. L’ampliamento degli orizzonti della psicologia e degli psicologi è lampante: su 64 articoli ben 16 - uno su quattro - chiamano in causa le attività degli psicologi, distinguendo tra interventi psicologici e psicoterapici. Parliamo di stili di vita, salute dell’infanzia e adolescenza, gravidanza e salute della donna, disabilità, oncologia e malattie croniche, dolore e cure palliative, prevenzione del deterioramento cognitivo e demenze, salute nei luoghi di lavoro, forme di disagio psicologico e tante altre situazioni. Certamente si parla anche di dipendenze e salute mentale in senso stretto ma lo spettro include la salute a 360 gradi in ottica biopsicosociale.

Con questo provvedimento prende corpo l’idea che la sanità non è solo cura ma è tutela della salute nel suo complesso e il focus è sulla persona, si gettano le basi per un lavoro più integrato, si guarda alla dimensione psicologica come soggettività e non solo come patologia. Che è poi il DNA specifico della psicologia, che è scienza dello sviluppo, della promozione e della relazione prima ancora di essere strumento di cura.

Mettere a sistema questi obiettivi non è facile, tanta è la distanza tra le necessità e le risposte, ma lungo questa strada la istituzione dello psicologo di famiglia o di base se si preferisce è una tappa fondamentale. Perché, attuando l’indicazione inserita nel 2019 nella legge 502, valorizza il ruolo di base generalista dello psicologo al servizio del potenziamento della rete primaria della salute, in una logica di collaborazione con il medico, il pediatra, l’infermiere di famiglia/comunità, e dentro un quadro che valorizza l’integrazione con i diversi professionisti delle cure primarie.

Se questa rete di base funziona si fa prevenzione, si impedisce a tante situazioni di aggravarsi, con costi umani ed economici maggiori, si decongestionano i servizi specialistici, i pronto soccorso e gli ospedali, che spesso sono in grande difficoltà proprio per la carenza di questo filtro.

Tanto è il bisogno che per la prima volta le Regioni hanno precorso i tempi di una legge nazionale, tra breve circa 30 milioni di italiani vivrà in regioni che hanno avviato tale figura, è ovvia l’urgenza di una legge quadro nazionale che impedisca ulteriori disparità.

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